Vittorio Ciampella, barone di Collefegato

 

L’ 8 settembre del 1841 scoppiò a L’ Aquila una rivolta antiborbonica organizzata dallo stesso sindaco della città Vittorio Ciampella, barone di Collefegato, con il coinvolgimento del marchese Dragonetti, dei baroni Calori e Cappa, ed altri.

La rivolta prese avvìo con l’ uccisione del comandante della gendarmeria colonnello Gennaro Tonfoni. Durissima fu la repressione con morti e feriti in entrambi le parti. Seguirono arresti, processi e pene severissime

Il barone Ciampella riuscì a mettersi in salvo con la fuga. Contumace fu condannato alla pena di morte

Il Lugini nella sue “Memorie storiche della Regione Equicola ora Cicolano” dedica una pagina alla fuga e successive vicende del barone Ciampella che riparato in Francia ritornò definitivamente in Italia alla caduta della dinastia borbonica.[1]  

Il documento che segue è la trascrizione da me effettuata del manoscritto denominato "Compendio", che è un riassunto di atti istruttori, con il quale il regio giudice (borbonico) Filippo Salini trasmette alla competente sede gli atti stessi relativi ad indagini a carico del barone Ciampella in fuga.e dei suoi conniventi. Ricorrono nel testo i nomi di persone di Corvaro, di Borgo e di Ville.

Il manoscritto è stato trascritto così come si presenta, senza apportare alcuna modifica di punteggiatura o di ortografia. Le note, che nel manoscritto sono poste a lato del testo, sono qui riportate al termine del testo. Esse indicano la fonte dei “fatti” narrati.

R.P.

collefegato

 

Collefegato Resti del Castello

 

C o m p e n d i o ♣

(vol. 46 bis)

 

Fatti

 

1[2]. Nella mattina degli otto settembre 1841 giravano per la città di Aquila delle persone portanti lunga barba, armate di bastone, le quali andavano unite a quattro o a cinque. A circa le ore 22 s’intese ch’era stato ucciso il Comandante delle armi della Provincia ed il suo …..

La mattina de’ nove si trovarono alcune persone morte giacenti per le strade, e si disse di essere state uccise nella notte scorsa in cui avevano fatto fuoco co’ fucili coi soldati di linea. A circa le ore 16 s’intesero fuggire delle persone, perché volevano rientrare i barboni, che stavano ai Cappuccini fuori, essendosi richiuse le porte.

Posteriormente a circa le ore 22 s’intese che il sindaco aveva fatto bando di riaprirsi tutte le cantine ed i forni che stavano chiusi sotto la multa di carlini ventinove.

Andrea Barone dopo le cennate ore ventidue incontrò al quadrivio, vicino al palazzo dei Sig. Ciolina, il barone D. Vittorio Ciampella.(sindaco di Aquila). Siccome per di lui conto gli si erano pignorati e venduti alcuni suoi animali, gli disse che con ciò gli si era fatto del molto danno, Egli gli rispose che non aveva dato alcun incarico di pegnorarglisi e venderglisi i cennati animali; che tutto si era eseguito capricciosamente da D.Giambattista Franchi del Corvaro; ch’egli non era stato pagato del suo credito e che lo avrebbe attestato avanti a qualunque autorità. Con questo discorso lo accompagnò fino alla casa comunale, dove con lui si licenziò.

2.[3] A circa le ore 15 in 16 del giorno 12 dell’indicato mese di Settembre il nominato barone D. Vittorio Ciampella, battendo la montagna denominata di Castiglione, giunse a piedi nel casale di D. Ferdinando Calabrese alla contrada le Puzzelle. Disse di doversi portare nel suo palazzo in Collefegato. Si mangiò un poco di formaggio e pane, e si bevve un poco di vino. Siccome Giovanni Bossi, garzone del detto Sig. Calabrese, doveva portarsi con un mulo a prendere i ferri nel Corvaro per accomodare gl’imbasti, si unì con lui e per strada lo premurò a farlo porre un poco a cavallo a detto mulo. Egli vi annuì e lo condusse fino a Collefegato, dove scavalcò innanzi la Chiesa, in cui entrò e si trattenne un quarto d’ora. L’aspettò intanto vicino la porta del suo palazzo. Là gli regalò un tarì, e lo fece poi entrare nella cucina, nella quale rinvenne una donna da lui sconosciuta con un’altra ragazza. Gli fece dare a bere del vino dalla detta donna, e lo licenziò. Per strada il Ciambella non parlò mai, andando malinconico, insospettito e guardingo, rivoltandosi spesso or di quà or di là.

3.[4] Però mentre il barone Ciampella si conduceva a cavallo al mulo, che portava, giunto alla contrada Puzzillo, vide che là vicino stavano colle vaccine al granturco le figlie del suo Agente Silvestro Farinacci di Collefegato. Domandò loro se detto loro padre stava in Collefegato. Le medesime gli risposero che era in Borgocollefegato. Allora esso barone chiamò Francesco Conti, che dal molino andava verso Borgocollefegato, e gli disse di fargli il piacere quando arrivava in Borgocollefegato di trovargli il nominato Silvestro Farinacci, e di dirgli che fusse tornato subito in Collefegato. Lo incaricò ancora di trovargli pure il suo compare D. Ludovico Morelli di Nesce, e di dirgli che fosse parimenti salito subito in Collefegato.

Pervenuto il Conti in Borgocollefegato rinvenne il Farinacci nell’osteria di Pietrantonio Conti e gli palesò quanto il ripetuto Sig. Barone gli aveva manifestato, e se ne andò via. Alcuna pena non si diede di rinvenirgli il detto suo compare D. Ludovico Morelli.

4.[5] Collefegato è situato in una collina, in modo che per andarvi si deve sempre salire in su. Per andarvi da Borgocollefegato vi sono tre strade: la prima chiamata della Madonna delle Grazie; la seconda del Molino; e la terza dei Vignali.

Quella della Madonna delle Grazie è lunga canne 779; l’altra del Molino è lunga canne 334; e l’ultima dei Vignali è lunga canne 524.

Da dove incomincia la strada dei Vignali volendo salire in su verso Collefegato fino alle Cerase di Canale si intercede una strada lunga canne 220.

Dall’ara di Vincenzo Giammaria si scopre chiunque s’imbocca alla strada della Madonna delle Grazie per salire a Collefegato.

Dall’ara della Croce si scopre egualmente chiunque s’imbocca alla strada del Molino.

5.[6] Arrivato l’enunciato barone Ciampella nel suo palazzo in Collefegato disse alla moglie del suo Agente Silvestro Farinacci a nome Maria Tabellione ch’era andato per vedere se detto suo marito aveva smorsata la calce, e le ordinò di preparare il pranzo. Ella ammazzò un capone e gli fece alcuni ovi di tagliolini. In questo frattempo risalì il detto suo marito Silvestro Farinacci. Il Ciampella con lui si dolse che non gli aveva ancora smorsata la calce. Poscia pranzò e si andò a dormire, dando ordine di non svegliarsi qualora qualcuno lo avesse andato a visitare. Prima di andarsi a dormire domandò al Farinacci se teneva la sella. Lo stesso gli rispose di no. Allora gli impose di trovarla in Borgocollefegato, facendosela improntare da Simone Corazza. A quest’oggetto la sua moglie Maria Giuseppa Tabellione scese in Borgocollefegato, e non avendo trovato Simone Corazza in casa se la fece dare dalla sua cognata a nome Costanza. Essa Tabellione se l’avvolse in una pannelletta onde non far perdere per strada gli attrezzi della medesima, e la riportò in Collefegato.

6.[7] Alle ore ventuno circa D.Gregorio Ponziani di Borgocollefegato, avendo saputo che in Collefegato era arrivato il suddetto Barone Ciampella, lo andò a visitare, e lo trovò in una camera del suo palazzo. Tenne con lui discorso, ed essendosi poi con esso congedato gli disse che imbattendosi con qualcheduno che domandasse di lui, gli avesse manifestato che poco stante sarebbe calato in Borgocollefegato. Quivi tornato trovò D. Giambattista Franchi del Corvaro, e gli disse che in Collefegato era giunto il suo compare barone Ciampclla. Egli mostrossi sollecito di andarlo a complimentare, e premurò il Ponziani di andarlo ad associare. Questi però gli fece intendere che da lì a poco sarebbe sceso, e che lo avesse atteso. Franchi allora si arrestò.

7.[8] Antonio di Pietro di Collefegato reduce dalla campagna avendo inteso ch’era colà andato il Barone Ciampella l’andò a trovare nel suo palazzo per dirgli se voleva vendere una vaccina da lui ricevuta in soccita. Lo trovò spallido e non con la solita cera. Gli manifestò se permetteva l’indicata vendita, e gli rispose di no, perché adesso si faceva grande. Quindi gli disse che dalla parte verso la Madonna delle Grazie, dov’è una strada che conduce a Collefegato, dovevano venire un paio di persone, e che perciò si fosse posto in guardia all’ara di Vincenzo Giammaria per avvertirlo subito quando venivano. Egli si pose a passeggiare a detta ara fino a passate le ore 24, ma essendo poi tornato nel palazzo del ripetuto Barone, trovò che se n’era partito.

8[9] Nicola Antimi a circa le ore ventitre e mezza osservò impostato non solo il suddetto Antonio di Pietro nella detta ara di Vincenzo Giammaria, ma ancora Bartolomeo Tabellione, fratello della moglie di Silvestro Farinacci, agente del Barone Ciampella, nell’ara della Croce, dove si osserva chiunque s’imbocca alla strada del molino per andare in Collefegato. Bartolomeo Tabellione però ha dichiarato ch’egli seppe la gita in Collefegato del Barone Ciampella a circa le ore 17 in 18 dell’additato giorno 12 settembre, che alle ore 21 si portò all’ara della croce per guardare la sua somara, che stava innanzi la Viarella, e là si trattenne fino alle ore 23 e mezza, quando si ricondusse in casa la detta somara; che tornato in casa, suo padre gli fece premura di farsi somministrare dal cennato Barone i comodi necessari per la festività della Madonna del Rosario che doveva celebrare; che per questo oggetto dunque si diresse al palazzo del ripetuto Barone, ma lo imbatté al portone nell’atto che usciva; che così si unì con lui e gli richiese detti comodi; e che mentre scendevano per la strada dei Vignali il suo Cognato Silvestro Farinacci, che portava la giumenta insellata li sopragiunse.

Ma ritenuto che il Barone Ciampella aveva fatto porre in guardia Antonio di Pietro nell’ara di Vincenzo Giammaria per osservare chi s’imboccava alla strada della Madonna delle Grazie per salire in Collegato, è probabile ancora che avesse fatto situare pure Bartolomeo Tabellione nell’ara della Croce per essere avvertito se persone si avviavano verso Collegato per la strada del molino, essendo questi i due punti dove si scoprano l’imboccature delle due accennate strade come abbiamo rimarcato sotto il n.4. E Tabellione può mascherare questa verità, perché è Agente del Barone Ciampella il Cognato onde non recar danno al di costui padrone.

9.[10] Alle ore 24 dello stesso giorno 12 Settembre il Barone Ciampella ordinò a Maria Giuseppa Tabellione di scendere in Borgocollefegato a prendergli i sigari da Simone Corazza, e al di lei marito Silvestro Farinacci di mettere la sella alla sua giumenta. La Tabellione eseguì il comando e si fece dare da Simone Corazza dodici o tredici sigari, dicendogli di abbisognare pel Barone. Quindi risalì sopra,e non avendovi rinvenuto detto Barone, che poco stante era partito avviandosi per la strada dei Vignali col suo fratello Bartolomeo Tabellione, consegnò i connotati sigari al suo marito Silvestro, che allora andava via colla sella insellata per raggiungere il Barone.

10.[11] Scorse le ore 24 D. Giambattista Franchi tornò a premurare D. Gregorio Ponziani di fargli compagnia fino al ripetuto Barone Ciampella, poiché non essendo a quell’ora calato, non più calava.Esso Ponziani vi annuì, e si incamminarono verso Collefegato per la strada denominata i Vignali. Nell’atto che salivano per la stessa incontrarono il suddetto Barone Ciampella, il quale andava in compagnia di Bartolomeo Tabellione e di Silvestro Farinacci, che portava la giumenta insellata. Il Barone si baciò col Franchi, e quindi si unì con questi e col Ponziani. Franchi gli domandò se perché partiva a quell’ora, poiché era già una mezz’ora della notte, ed egli a lui rispose che aveva da fare. Lo accompagnarono discorrendo fino alle cerase di Canale. Ivi si licenziarono, il Barone fece retrocedere Bartolomeo Tabellione, si pose a cavallo alla mentovata giumenta, e proseguì il cammino in compagnia del Farinacci. Ponziani si ritirò in sua casa col Franchi, il quale rimase a dormire con lui. Franchi e Ponziani hanno assicurato che non tennero col Ciampella alcun discorso di ciò ch’era avvenuto in Aquila, e questi solo loro disse di trovarsi un poco raffreddato

11.[12]   Quando il Barone Ciampella pel passato si conferiva in Collefegato lo frequentavano e si trattenevano con lui Simone Corazza, D. Ludovico Morelli, D. Giuseppe Antonimi, D. Matteo Gagliardi, D. Felice Franchi, D. Giambattista Franchi, D. Stefano Santoro, D. Giambattista d’Ascenzo,e D. Gregorio Ponziani.

12.[13]   Proseguendo il Barone Ciampella il cammino in compagnia di Silvestro Farinacci, come si è detto al n.10, giunto alla strada sotto Coll’orso, che mena pure a Nesce, trovò un uomo (Ludovico Morelli) con una vettura. Questi vedendolo gli disse: ti posso aspettare più. Allora scavalcò dalla giumenta,che portava, licenziò Farinacci, montò sull’anzidetta vettura, e se ne andò col mentovato uomo.

13.[14] Passate le ore tre della notte de’ 15 Settembre1841 Gaetano Farinacci e Silvestro Farinacci portavano a cavallo il Barone Ciampella per la strada delle Tore, che imbocca tanto alle Ville che a Poggio Valle.

14.[15]   A circa le ore due della sera de’ 17 Settembre 1841 il Ciampella andò nella casa comune di D.Giuseppe e D. Felice Franchi a cavallo con un pedone. Il di costoro figlio e nipote rispettivo gli somministrò del vino, che richiese, e che bevé col pedone, e quindi andò via.

15.[16] Circa i 18 Settembre 1841 alla contrada chiamata Casa di Cioce furono incontrate sull’albeggiare cinque persone, tre delle quali armate con fucili curti, e due altre con piroccole, che venivano da verso Poggio Valle. Una di esse armate portava una lunga barba. Le due armate di piroccole domandarono a Lorenzo Di Marco se in Nesce vi erano degli urbani. Questi loro rispose di no, e proseguirono il cammino per la strada che conduce a Nesce, Leofreni, ed altri luoghi.

16.[17] A circa mezz’ora di notte del giorno 18 settembre passò D. Luigi Falconii di Aquila a cavallo ad un somaro con un uomo avanti il casale di D. Ferdinando Calabrese. Egli portava un cangiarro appiccato, e nel vedere due persone di Radicaro si covrì un falzoletto sulla barba.

17.[18] Cinque o sei giorni dopo che il Barone Ciampella partì da Collefegato, vi si portò il fabbricatore di Aquila sopranomato Lestino, e se ne entrò a circa le ore due nel di lui palazzo con Silvestro Farinacci, suo Agente, cui disse ch’esso Barone lo aveva fatto fare, ed egli perciò gli avesse dato da mangiare.

18    Perquisito nel giorno 31 ottobre 1841 il palazzo del Barone Ciampella in Collefegato vi si rinvennero:

  1. un tira palle di pistola, 66 palle di un’oncia, 21 pallettoni, libre undici di palline tutta caccia, altre libre due e mezza di palline più grandi, due scatolette di fulminanti non piene, tre mazzi di cartucci a palle, uno per fucile del numero dieci tiri, e due altri per pistola al numero di otto tiri l’uno, una fiasca di tartaruca con polvere in controbando del peso libre tre meno due once, un grosso coltello cosi detto alla Fiorentina a due lame con seca tirabusciò e spillone[19]
  2. Una lettera scritta da D. Bernardino Lolli ai 14 Smbre senza millesimo al Barone suddetto, in cui parla di talune commissioni.[20]
  3. Un esposto di Angelo Botti usciere in Capestrano del tenor seguente: “ Eccellenza, Il Disertore Botti con umil suppliche espone all’E.S che intende rimettersi sotto le sue Bandiere; è vero che ha mancato per lo spazio di giorni 15, ma tutt’ora però intende rimettersi alle bandiere, ed essere sempre sottoposto ad i suoi comandi ed ordini. Intanto però sarà compiacente emanare gli ordini pel suo dissaresto e la sua libertà del Botti, il quale no merita di avere alcuna pena. Il tutto l’avrà a grazia singolarissima. Angelo Botti”[21]

!9.[22]   Perquisita pure nello stesso giorno 31 ottobre 1841 la casa di Silvestro Farinacci Agente del Barone D. Vittorio Ciambella si rinvennero sotto un paglione quattro palle di un’oncia, e dentro di un’arca di legno altre cinque palle simili, ed una forma di ferro per pallettoni.

20.[23] I periti generici han detto che la polvere dei tre mazzi di cartucci rinvenuti nel palazzo di Ciambella è in contrabbando, poiché è quella dello Stato Romano chiamata qualità Fabiana; che la polvere esistente nella fiasca di tartaruca è anche in contrabbando, poiché non appartiene ad alcuna di quelle dell’appalto, ed è di libre tre compresa anche la fiasca; che le palle sono di un’oncia, meno che quelle dei cartocci delle pistole, che sono di tre quarti; e che il coltello è alla Fiorentina, e contiene,oltre al tirabusciò ed allo spillone, due lame da taglio, e che il medesimo è vietato perché a molla.

21.[24] D. Giuseppe Franchi di Nesce, nella di cui casa la sera de’ 17 Settembre 1841 il Barone Ciampzella di Aquila andò, era un urbano armato. Non ostante egli prima degli otto del detto mese di Settembre richiese due o tre volte il fucile a Giuseppantonio de Sanctis del Corvaro, il quale si ricusò di darglielo, e a Francesco Rossetti dello stesso luogo, che a lui lo senz’averglielo più restituito.

    

     22.   La famiglia Morelli di Nesce è composta dai germani fratelli D. Ludovico e D. Francesco.  

  1. [25] Esso D. Ludovico Morelli teneva in sua casa due fucili, uno a due botte appartenente a lui, e l’altro di Francesco Fracassi di S. Anatoglia, avendoveli veduti circa la fine di Luglio e principii di Agosto Giacomo Fortuna.
  1. [26]Egli nei primi giorni dell’anzidetto mese di Agosto richiese con lettera a D. Francesco de’ Baroni Coletti uno schioppo per caccia, mentre il due botte ch’egli usava lo portava il suo fratello D. Francesco, che per una certa questione in Scurcola si trovavano inquietati da vicino da tre o quattro naturali di quel luogo. Il Sig. Coletti corrispose al Morelli che fucile da caccia fulminante ne aveva uno per proprio uso, e che volendone un’anticaglia a pietra lo era a di lui disposizione. Che a ciò successe il silenzio del Morelli.

24(bis)[27] Egli ancora nello stesso mese di Agosto ricercò con lettera D. Bernardino Lolli Regio Giudice in Carsoli per l’imprestito del fucile a due botte per caccia, trovandosi esso senza fucile, mentre il due botte suo lo portava il fratello Francesco, ed egli trovavasi in qualche agitazione per alcuni scurcolani, che rondavano intorno il paese in traccia del suddetto fratello. Il Sig. Lolli gli rispose di non poterlo servire, giacché il solo fucile che aveva gli bisognava nella circostanza che anche là si sentivano in giro delle persone sospette. Gli aggiunse poi circa il timore da lui concepito di passarne notizia a quel Giudice.

  1. [28] Egli nel dì 4 del ripetuto mese di       Agosto richiese a D.Vincenzo Amicuzii il fucile che gli aveva venduto, perché amava divertirsi qualche mattina. Il Sig. Amicuzii quattro giorni dopo glie lo mandò, ed egli a lui lo restituì alla fine di Settembre 1841.
  1. [29] Egli circa i venti dello stesso mese di Agosto richiese ad Alessandro Panei le sue pistole con le pietre e palle corrispondenti, ma il medesimo gli rispose di non tenerle
  1. [30]Egli alla fine del ripetuto mese di Agosto si fece improntare da D.Giuseppantonio de Sanctis del Corvaro il suo fucile, dicendogli di occorrergli per ritirarsi in sua casa, atteso che alcuni Scurcolani giravano intorno la sua casa. Esso de Sanctis glie lo diede, ed a lui lo restituì nel giorno 4 novembre 1841.
  1. E’ rimarchevole intanto che nel giorno 13 Giugno 1841 D. Francesco Morelli fu nella Scurcola nella fiera che ivi celebrossi. Poiché vi si condusse anche l’usciere D. Angelo Botti, con cui aveva avuto precedentemente de’ disgusti, mandato diede a quei naturali Sante, Benedetto e Rocco Orlandi, Gianfilippantonio Silvestri, e Tommaso Censi di percuotere il Botti. I medesimi però nell’atto che in esecuzione di tal mandato percuotettero e ferirono il Botti, uccisero a colpo di sasso D. Pietro Bravi, che con lui andava. Ciò formò oggetto di istruzione ch’esiste presso la Gran Corte Criminale in Aquila.

 

  1. Dall’anzidetto fatto D. Ludovico Morelli ha voluto far supporre in talune ricerche di fucili, che questi a lui abbisognavano per garantirsi dalle molestie che detti mandatari far volevano alla sua famiglia.
  2. [31] Ma i cennati mandatari dall’indicato giorno 13 Giugno fino dopo il dì otto Settembre 1841 si videro sempre nella Scurcola, senza appartarvisi giammai, ritirandosi solo la sera ne’ casali vicini di campagna per timore di non essere arrestati.

            

  1. [32] Vero è che Giacomo Fortuna dice che alla fine del mese di Luglio e principii di Agosto 1841 che in occasione andò ad assistere in Nesce alla trebbiatura del grano di D. Ludovico Morelli, Giuliano Giuliani di quel luogo disse di aver veduto in una possessione dello stesso Morelli quattro persone della Scurcola , senza marcare s’erano ovvero no armate; che allora D. Francesco Morelli mandò ad avvertire il di lui fratello D. Ludovico, che si trovava nel Borgo, di non tornare, perché si erano vedute le cennate quattro persone; e che ciò non ostante il D. Ludovico tornò armato di un fucile, che disse aversi fatto improntare da D. Giuseppantonio de Sanctis;

che Santa d’Angelo dice che nel giorno 8 Luglio 1841 andava in un suo terreno alla contrada Montefalcone a riprendere l’aratro; che giunta a Piedi la Fossa incontrò un uomo da lei sconosciuto: che le manifestò che andando pascolando le vaccine, una gli se n’era dispersa, perché cercava il padre. Le domandò quindi se Morelli teneva il padre, ed in che luogo aveva le sue vaccine, onde ritrovare la sua, qualora si fosse immischiata con esse vaccine; che poscia le richiese se D. Francesco Morelli andava a Torre di Taglio, e se sposava la figlia di D. Filippo Ulpiani; che essa gli rispose di non saperlo; che le fece ancora conoscere l’impegno di voler andare a parlare con D. Ludovico Morelli,e le domandò se era in casa, ma se non stava in casa D. Ludovico, vi era la sua moglie, donna gentile e affabile; che le replicò bisognare ch’egli andasse prima in cerca della vaccina; che più lungi da lui vide sdraiate per terra due altre persone, che tenevano i fucili vicini; che si licenziò da lui ed andò per i fatti suoi; che tornata al paese raccontò questo fatto al suddetto Ludovico Morelli, ed egli nulla le rispose.

Che Antonio Magnini dice che a circa le ore due di notte di un giorno dello cennato mese di Agosto egli si portò a governare una sua cavalla: che per strada incontrò due persone da lui sconosciute, che esse gli domandarono se andavano bene per quella strada onde accedere in Torre di Taglio e se in questo Comune vi si portava D. Francesco Morelli e se vi faceva l’amore; che egli loro rispose che per condursi in Torre di Taglio andavano bene, ma che ignorava se D. Francesco Morelli vi amoreggiava e vi si conferiva; e che non vide a dette persone portare alcun’arma.

Che Antonio Ciolli dice che in un giorno del mese di giugno 1841 incontrandosi in Tagliacozzo con una moltitudine di persone, intese che queste discorrendo tra loro dicevano che Morelli di Nesce era stato cagione della uccisione di Bravi, e che quei poveretti della Scurcola, ai quali si era fatto commettere tale eccesso, non avevano dove andare, e che un giorno o l’altro avrebbero dovuto andare in casa di Morelli, e fare qualche ruina: ch’egli raccontò ciò a D. Matteo Gagliardi, perché lo avesse partecipato a D. Ludovico Morelli suo amico.

Che Matteo Gagliardi dice che in esecuzione dell’incarico ricevuto dall’anzidetto CiolIi partecipò al suo compare D. Ludovico Morelli ch’esso Ciolli aveva inteso in Tagliacozzo che talune persone da lui sconosciute avevano minacciato che i Scurcolani avrebbero fatto una rovina alla sua famiglia; che allora il Morelli gli disse di non tenere fucili, e che li avrebbe voluto procurare, e che posteriormente gli esternò che li aveva richiesti, e che non li aveva potuto avere.

Che Giuliano di Giuliano dice che nella fine del mese di Agosto 1841 egli era stato a guardare il granturco;che tornando passate le ore 24 nel paese,dentro la vigna di Morelli vide quattro persone ferme, senza ravvisare se tenevano ovvero no armi; che egli passò e nulla gli dissero; che arrivato al paese chiamò la serva del Morelli a nome Cintia, e le disse la veduta delle cennate quattro persone da lui non riconosciute, affinché si fossero chiusi, poiché allora si sentivano dodici persone in giro per la campagna.

Che Aurelio Rubeo dice di trovarsi nel mese di Luglio1841 in casa di D. Ludovico Morelli a lavorare: che il suddetto Giuliano Giuliani avvertì alla serva del Morelli di chiudersi perché nella vicina vigna di detto suo padrone aveva veduto quattro persone ; che siccome si diceva che taluni naturali della Scurcola postiavano esso D. Ludovico, ed il suo fratello Francesco, questi mandò ad avvisare quegli, che si trovava in Borgocollefegato di non tornare, perché andavano in giro le indicate quattro persone; che nulla ostante il D.Ludovico poscia tornò armato di un fucile, che disse aversi fatto improntare da D. Giuseppantonio de Sanctis del Corvaro.

Che D.Paolo Antonini dice che nel giorno tredici Giugno 1841 nella fiera della Scurcola fu da taluni Scurcolani percosso l’usciere D. Angelo Botti e ucciso D. Pietro Bravi: che si volle ciò fosse avvenuto per mandato di D. Francesco Morelli di Nesce ; che posteriormente il di costui fratello D. Ludovico Morelli in discorso gli disse che i Scurcolani , i quali avevano commesso l’eccesso, minacciavano la sua famiglia, e che a lui dispiaceva di non tenere fucili, mentre dei due fucili a due botte uno solo glie n’era rimasto; che ne aveva chiesto uno a D.Vincenzo Amicuzii e che costui non glie lo aveva voluto dare; e che uno però ne aveva avuto da D.Giuseppantonio de Sanctis del Corvaro; che il Morelli era molto intimorito per le minacce dei Scurcolani, tanto che niuno della sua famiglia volle andare nella mietitura ad assistere, e si tenevano ben chiusi in casa; che un giorno poi trovò in casa del Morelli due della Scurcola, uno de’ quali nomato Filippo; che essi discorsero con D. Ludovico Morelli, e quindi mangiarono; che osservò però che essi andavano scoprendo ed osservando tutte le posizioni della casa Morelli.

E che D. Giuseppe Antonimi dice che ai principii di Agosto 1841 D. Ludovico Morelli era in Borgocollefegato: che egli lo vide tutto inquieto;che gli domandò che aveva fatto, e gli disse che si erano vedute nella vigna sotto la sua casa quattro persone della Scurcola secondo gli avvisava il suo fratello D. Francesco con una sua lettera, che leggere gli fece: che quindi si fece improntare da D. Giuseppantonio de Sanctis il fucile, che portava, lo caricò a palla ,e se ne ripartì pel suo paese.

  1. Ma prescindendo da tutte le contradizioni che nei riferiti detti si scorgono, non ha alcuno precisato di avere i Scurcolani mandatari di Morelli minacciato la famiglia di costui, e di averli veduti girare intorno alla sua casa. E di fatti sembra improbabile che essi Scurcolani tanto avessero voluto praticare: se accettarono il mandato del Morelli e l’eseguirono, la loro azione fu volontaria e derivò dai rapporti d’intrinsichezza col Morelli. Perché poi dovevano dolersi di lui e minacciarlo? Ma se D. Paolo Antonimi dice di averne un giorno trovati due in casa di D. Ludovico Morelli, discorsero con costui, e quindi mangiarono, ecco che i rapporti di intrinsichezza continuavano tra loro, e le minacce asserte non possono stare.
  1. [33]Dai principii di Agosto fino ai 27 dello stesso mese si videro in giro per la campagna dodici persone, dieci delle quali armate di fucili. Esse non recarono molestie ad alcuno; dopo il giorno otto Settembre, in cui successero gli avvenimenti in Aquila non più si intesero: cercavano da mangiare e pagavano; ciò stante si ha tutto il fondato motivo ch’esse facessero parte della Fazione di Aquila, e che stassero in osservazione. Non può fare dunque alcuna sensazione se nelle vicinanze della casa di Morelli si videro girare delle persone, ed alcune armate, poiché le medesime potevano essere delle dodici in giro; e ciò vieppiù che Domenico Tomassini accertò che le cinque da lui trovate dentro la sua stalla gli domandarono se sotto la montagnola, indicando verso Nesce, patria dei Morelli, vi fosse qualche casuccola buona.
  1. [34]Inoltre D. Luigi Falconii nel mese di ottobre 1840 esternò a D. Francesco Morelli che desiderava mutazione di Governo ond’essere nominato Comandante di Piazza. Poiché Falconii manifestò a Morelli questo suo disegno avvenuto dopo gli avvenimenti di Aquila, se dette persone in giro domandavano di lui, può essere che avessero con lui corrispondenza, poiché le dette persone in giro dopo gli avvenimenti di Aquila scomparvero.
  1. [35] D. Francesco Morelli di Nesce fa parte della guardia urbana di Peschiorocchiano, ed il suo fratello D. Ludovico nell’anno 1841 era munito di licenza da caccia con il corrispondente permesso d’armi per uno schioppo.

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  1. E’ rilevabile per D. Giambattista Franchi,e D. Gregorio Ponziani
  1. Che costui appena seppe l’arrivo di Ciampella in Collefegato l’andò a visitare
  2. che ebbe con lui colloquio
  3. che partecipò questo arrivo al Franchi
  4. che questi, che si trovava al Borgo perché chiamato dietro ordine del Giudice come sottocapo alla rivista degli urbani dietro i saputi avvenimenti di Aquila, onde tenersi pronto, invece di tornare in seno della moglie e de’figli, curò piuttosto di abboccarsi con Ciampella
  5. che circa le ore 24 si diresse con Ponziani verso Collefegato per la strada dei Vignali. Ma perché battere questa strada e non quella più curta del Molino? Perché alla stessa strada cui Ciampella scendeva per l’indicata strada dei Vignali? Segno manifesto di precedente prevenzione.
  6. Discorsero per un tratto di strada lungo più di 220 canne, ed è possibile che non tennero alcun discorso sugli avvenimenti di Aquila, nel mentre allora era di ognuno l’interesse di risaperli?
  1. E’ rilevabile in fine che D. Ludovico Morelli è compare ed amico intimo di Ciampella, ed ha influenza sul popolo.
  2. Documenti di rito…….al fol. 88 al 89

Osservazione

Non restandovi altro a fare s’inviano gli atti in questo stato.

Il Regio Giudice

Filippo Salini

                                                                                                             (timbro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLEGATO

Dalle citate “Memorie storiche della Regione Equicola ora Cicolano” del Lugini:

"Un altro personaggio degno di riverente ricordo   per la lunga e fiera persecuzione cui venne sottoposto

dalla polizia borbonica, fu Vittorio Ciampella barone di Collefegato. Militante anch’egli, sebbene con molta prudenza, tra le file del partito rivoluzionario abruzzese, riuscì ad essere sindaco dell’Aquila e ricopriva appunto tale carica quando nel settembre del 1841 scoppiò in essa l’insurrezione. Speditovi da Napoli il generale Casella per reprimerla, egli fu uno dei pochi fortunati che riuscì a sottrarsi dalle assidue ricerche della polizia. Fuggì nottetempo dalla città, e, percorrendo la via della montagna di Tornimparte, giunse alla sua casa di Collefegato; ravvisandosi in essa mal sicuro, dopo essersi riposato alquanto, passò a Poggiovalle, dove si tenne nascosto due o tre giorni presso il sacerdote D. Felice Franchi; chiese poscia rifugio a Sig. Lodovico Morelli suo intimo amico e compare., e con esso rimase a Nesce per altri tre giorni.

Accompagnato da Francesco, germano di Lodovico, da Nesce passò nello Stato pontificio e propriamente a Varco Sabino, dove fu accolto da Giannandrea Ponzani, che aveva in moglie una sorella del Morelli.

La polizia pontificia ebbe sentore della sua presenza in quel villaggio e subito vi accorse per scovarvelo e trarlo in arresto; ma nonostante una scrupolosa perquisizione nella casa stessa dove si trovava nascosto, ebbe la ventura di sottrarsi da quelle ricerche, nascondendosi in una grande arca e facendosi ricoprire con molti fasci di canapa maciullata. Da Varco passò a Poggio S. Maria, presso il sacerdote D. Antonio Mancini, ed indi in un casino di campagna di un tal Giovanni Corbò francese. Questi per eludere ogni sospetto della polizia sull’ospitalità concessa, in un giorno invitò a pranzo in quel suo casino alcuni capi agenti della stessa. Durante il desinare, cadde il discorso sulla recente rivoluzione dell’Aquila, e mentre ognuno esprimeva la propria opinione sulla stessa e su taluni de’ principali rivoluzionari, il comandante in capo ebbe a dire:” io a tutti perdonerei ma al barone Ciampella no ;anzi lo farei impiccare immediatamente per la gola, perché primo magistrato della città, con una moglie avvenente e che l’adora e padre di due angeli di figli, non doveva mai prendere parte alla rivoluzione” Ed il Ciampella, da una stanza attigua a quella sala da pranzo, di persona ascoltava quel lusinghiero parere che dava sul suo conto quel focoso e zelante agente della polizia papalina. Rimase in quel casino fino a quando ebbe agio di fornirsi di danari, che gli furono fatti recapitare per mezzo del barone Giuseppe Coletti, e riuscì a prendere in Civitavecchia un posto su di una barca, carica di pozzolana, dalla quale fu condotto a Marsiglia

Ma sebbene assente, la Commissione Militare, con sentenza del 20 aprile del 1842, lo condannò alla pena di morte.

Dalla Francia ritornò all’Aquila nel 1848, quando per la promulgazione dello Statuto fu concessa una amnistia a tutti i colpevoli di reati politici. Appena abolita la Costituzione, dovette novellamente emigrare in Francia, ed ivi rimase fino alla caduta della dinastia borbonica.”

 


[1] V. Allegato

[2] Fonte:Andrea Barone fol. 1 a 2

[3] Fonti: Bernardino Chiarelli, fol.14; D. Ferdinando Calabrese, fol. 27; Giovanni Bossi, fol. 32;Francesco Frezzini, fol. 10 a tergo; Annamaria Caprini, fol. 11; D. Teresa Ulpiani fol.13 a tergo; Lucrezia Farinacci, fol. 15.

[4] Fonte:Francesco Conti, fol.39 a tergo.

[5] v. Verbale al fol. 36

[6] Fonte: Costanza Franchi, fol. 7

[7] Fonti: Silvestro Farinacci, fol. 3; Maria Giuseppa Tabellione, fol. 4, a tergo a 5; D. Gregorio Ponziani, fol. …; D. Giambattista Franchi, fol. 2.

[8] Fonte: Antonio di Pietro, fol.10

[9] Fonte: Bartolomeo Tabellione, fol. 13

[10] Fonti: Maria Giuseppa Tabellione,fol.4 a tergo a 5; Silvestro Farinacci,fol.3; Simone Corazza fol. 5 a tergo; Lucrezia Farinacci fol.15; Nicola Antimi fol.8; Maria Farinacci fol. 12; Annamaria Caprini fol.11; Bartolomeo Tabellione fol.13.

[11] Fonti: Gregorio Ponziani fol. 6; Giambattista Franchi fol.2; Bartolomeo Tabellione fol.13; Silvestro Farinacci fol. 3.

[12] Fonti: Silvestro Farinacci fol.3; Maria Giuseppa Tabellione fol. 4; Nicola Antimi fol. 8

[13] Fonte: Silvestro Farinacci

[14] Fonti: Giandomenico Salvatore,fol.9; Giovanni Amicuzi,fol. 40

[15] Fonti: D. Vincenzo Franchi,fol.19; Teresa Pietropaoli, fol.25;D. Maria Ulpiani, fol. 27 a tergo.

[16] Fonti: Lorenzo Di Marco,fol.24; Domizio Domizii, fol. 23 a tergo.

[17] Fonte: Bernardino Chiarelli, fol. 14.

[18] Fonti: Nicola Antimi, fol.8.16; Maria Giovanna Briani, fol.9; Annamaria Caprini,fol. 11; Filippo Farinacci, fol. 12, e16 a tergo a 17.

[19] Fonte: verbale al fol. 61 a 62

[20] Fonte: lettera al fol. 63

[21] Fonte: esposto al fol. 64

[22] Fonte: verbale al fol.61 a 62

[23] Fonte: verbale al fol. 65 a 67

[24] Fonti: lettera al fol.45; Giuseppantonio de Sanctis al fol. 18; Francesco Rossetti al fol.26.

[25] Fonti: Giacomo Fortuna al fol. 28; Aurelio Rubeo al fol.34

[26] Fonte: Francesco de’ Baroni Coletti,fol.43.

[27] Fonte: Bernardino Lolli ,fol.44.

[28] Fonti: dal biglietto di carattere del Morelli al fol.21; da Vincenzo Amicuzii al fol.20.

[29] Fonte: Alessandro Panei al fol.87.

[30] Fonte: Giuseppantonio de Sanctis al fol. 18

[31] Fonti: Piero Fallocco fol.78; Paolo Bontempi fol.79; Gregorio Bontempi, fol.80; Leonardo Anziani fol. 81; Nicola Paolini,fol.82; Francesco Cerrone fol. 83; Pietro Barnaba fol.84; Gioacchino Nuccitelli fol. 85; Giuseppe Bucceri fol.86.

[32] Fonti: Giacomo Fortuna fol.28; Santa d’Angelo fol.29; Antonio Magnini fol.29; Antonio Ciolli fol.30; Matteo Gagliardi fol. 30 a tergo; Giuliano Giuliani fol. 31; Aurelio Rubeo fol. 35; Paolo Antonimi fol.35; Giuseppe Antonimi fol.38.

[33] Fonti: da fol 46 a 60; Domenico Tomassini fol. 55.

[34] Fonte: dai rapporti de’ 25 e 31 dicembre 1840 diretti a S.E. il Ministro della Polizia Generale in adempimento di comando dato con Ministeriale de’ 19 stesso mese n. 5267 fol. 69 a 71.

[35] Fonte: dalla lettera del Sottintendente al fol. 68

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